SANT’AGATA
Le fonti, la tradizione, il culto



La fonte principale per la nostra conoscenza della vita di Sant’Agata è una Passio Sanctae Agathae (Passione di Sant’Agata), giuntaci in triplice redazione (una latina, due greche), di epoca abbastanza posteriore agli avvenimenti narrati; infatti essa daterebbe alla seconda metà del sec.V - primi del sec. VI, mentre la santa fu martirizzata durante le persecuzioni dell'imperatore Decio, nella prima metà del sec. III.
Secondo questi testi, Agata sarebbe appartenuta ad una ricca e nobile famiglia romana: nata e vissuta a Palermo sarebbe poi stata condotta a Catania per il processo e la condanna. Qui risiedeva il prefetto Quintianus, persecutore di cristiani sotto l’imperatore Decio: le fonti indicano la data del martirio nel 5 Febbraio del 251.
Agata disobbedì all'editto di Decio e pregò Dio di poter contrastare il nemico della fede; Quintianus, venuto a sapere che era cristiana, ordinò il suo arresto. Nella versione greca, la giovane, uscendo da Palermo, strappata alla famiglia, fu anche abbandonata dalla folla di seguaci che l'aveva fino allora accompagnata e, in quel momento di profondo turbamento, impresse nella roccia quell'orma che è tuttora venerata dai fedeli nella chiesa fuori le mura dedicata a S. Agata “la pedata”. Altro evento miracoloso in quelle circostanze fu la nascita istantanea di un oleastro sterile, simbolo della viltà del popolo.
Agata, condotta davanti a Quintianus, si proclamò cristiana, “
libera di nascita ma serva di Cristo”. Risultati inutili i tentativi del prefetto di farla abiurare, ella venne affidata ad una donna di malaffare, Afrodisia, ed alle sue nove figlie affinché la conducessero al male ma, riconosciuto inutile anche questo espediente, Agata venne sottoposta ad un nuovo interrogatorio dopo il quale, essendosi rifiutata di sacrificare agli dei, venne torturata fino all'amputazione delle mammelle. Riportata in carcere, la martire fu miracolosamente guarita, durante la notte, da San Pietro. Durante il supplizio, però, secondo la tradizione, la città di Catania fu scossa da un violento terremoto, nel quale rimasero uccisi da un crollo due amici del prefetto che, sconvolto, ordinò di riportare in carcere la martire, che morì poco dopo.
Ancora, la tradizione racconta che l'anno dopo, nell'anniversario della sua morte, un’eruzione dell'Etna minacciava la città; allora la popolazione stessa si servì del velo che copriva il sepolcro della martire come scudo contro il pericolo; subito l'eruzione cessò, e questo episodio è alla base del culto di S. Agata come protettrice contro il fuoco e gli incendi, nonché come patrona delle campane (che venivano suonate in caso di incendio).
Il culto di S. Agata risulta già in antico diffuso sia nel mondo occidentale che in quello orientale; poi, nell'anno 1010, si tentò un trasporto di reliquie da Palermo e Catania a Costantinopoli, ad opera di Giorgio Maniace, generale bizantino che combatté in Sicilia contro i Saraceni. Ma, la stessa santa, apparendo in sogno al comandante Gisleberto, di origine calabrese, gli chiese di rimandare le reliquie a Catania, cosa che avvenne nell'anno 1126, con un viaggio ricco di miracoli.

Numerose furono le fondazioni di chiese dedicate a S. Agata: a Roma si ha notizia di una basilica di papa Gelasio (492-496) "
in fundo caclano"; papa Simmaco (498-514) eresse in suo onore una basilica sulla Via Aurelia "in fundum Lardarium"; S. Gregorio Magno riconsacrò nel 593, a suo nome, un'antica Basilica nella Suburra, fondata dal goto Ricimero per il culto ariano.
Lo stesso papa a Palermo fece erigere il monastero "Lucusiano" che intitolò ai Santi Massimo ed Agata; nella città sorgono ben tre chiese dedicate alla martire, di cui una fuori le mura: la chiesetta di S. Agata "La Pietra" o "La Pedata" in cui è custodito il masso con l'orma di cui si è già parlato.
La presenza a Roma del culto di S. Agata si può probabilmente collegare alle relazioni tra Roma e la Sicilia, dove la Chiesa romana possedeva vastissimi territori.
A Ravenna, un'immagine della Santa è riconoscibile nei mosaici della navata centrale di S. Apollinare Nuovo (sec. VI); qui la martire ha gli attributi generici del velo, della palma e della corona; dal XIII sec. in poi comincerà ad avere suoi simboli specifici: i seni in una coppa, le tenaglie, la fiaccola.


Francesca Paola Massara